Il punto di Calvano – 20 maggio

Una volta le bandiere rappresentavano il simbolo di una squadra, il distintivo ed il vanto di cui un tifoso amava fregiarsi, quel “quid” in più che valeva più di una coppa, l’uomo di cui andare fieri, quello che nasceva nella tua squadra e moriva con i suoi colori.

C’era rispetto per questa forma di devozione, un tacito accordo di cavalleria che andava oltre i fini commerciali, politici o economici esistevano valori che non potevano essere toccati, nemmeno sfiorati.

Oggi è sempre più palese che anche i sentimenti, nel calcio devono essere misurati, sia da una parte che dall’altra, che la riconoscenza è effimera e non può appartenere a tutti.

Così finisce anche questa bella storia d’amore che ha legato Daniele De Rossi al popolo giallorosso. Una vita dedicata al calcio, a quei due colori che solo a parlarne gli illuminavano lo sguardo, un Capitano nato troppo tardi, o forse con la sventura di vivere all’ombra di un altro grande giocatore di nome Francesco Totti, ma che ha imparato a distinguersi, a mettersi in risalto silenziosamente e a ritagliarsi quel rispetto che solo in pochi riescono a conquistare. Un’icona, una guida per tifosi e compagni, quel leader capace di prendersi sulle spalle le gioie e i dolori di una squadra come la Roma e che, ha dovuto arrendersi a qualcosa più grande di lui.

L’orgoglio e la rettitudine a guidare il suo essere coerente a permettergli, seppur a malincuore, di rinunciare al disperato ripensamento del Presidente.

Lo sfogo ai tifosi, senza filtri, ma pur sempre in linea con lo stile De Rossi, la delusione e l’emozione nello spiegare, nel rendere figurabile un evento così incredibile da non riuscire a comprenderlo, tutta l’emozione e la delusione racchiusa in poche parole.

Sempre a testa alta Daniè, e per sempre si potrà dire “Figli di Roma, Capitani e bandiere, questo il mio vanto che non potrai mai avere.”

 

Queste le parole usate dalla giornalista Laura Tarani, su mia gentile richiesta, per salutare il suo Capitan Futuro e permettere a me qualche riflessione. La società ha tutto il diritto di rinnovare un contratto o non farlo, di decidere le strategie per la squadra nel migliore modo possibile. Poi ci sono i modi, i rapporti con i media e la forza della società nei confronti dei propri tifosi. Se pensiamo alla Juventus, non ad Allegri, ci arriviamo dopo, ma al modo in cui negli anni hanno liquidato prima Baggio, poi Del Piero e infine Buffon. Ai tifosi juventini la società fa mandare giù pillole pazzesche senza colpo ferire, in quale altra città sarebbe potuto accadere che tre bandiere vengano vendute o abbandonate senza avere delle ripercussioni? L’unica risposta credibile è che alla Juventus si vince e pure tanto e soprattutto spesso, tutti gli anni, e quindi la società è talmente forte da poter prendere tutte le decisioni che pensa possano portare all’unico obiettivo che conta, la vittoria. Cosa non da poco, a Roma, sponda giallorossa, non si vince un trofeo che sia uno da una vita, si è vissuto per anni di secondi posti, di buone Champions League ma, di trofei e vittorie, zero. In questo momento conta più De Rossi che una società che ha il numero 1 a Boston e il numero 2 a Londra, chi comanda a Trigoria, chi si doveva rapportare con De Rossi per decidere insieme? Totti sembra un cartonato, non si capisce cosa rappresenti nella società Roma, è possibile che non sia stato nemmeno in grado di mediare un incontro tra De Rossi e la società? Le dichiarazioni di Totti post conferenza stampa di De Rossi sono strane da capire, come se lui fosse in un altro continente e non nello stesso stabile dove si è deciso di non convocare mai De Rossi per parlare di contratto, sono quelle cose in cui si capisce che Totti, cosi come Zanetti per l’Inter, siano lì solo per rappresentanza, solo per la facciata, altrimenti certe cose si fatica a capirle, fermo restando che la società Roma ha tutto il diritto di non rinnovare il contratto di De Rossi, purtroppo il problema è che il tutto si svolge a Roma e non a Torino.

 

Allegri licenziato, punto. Tutto il resto poi è contorno, buono per i tifosi che amano Allegri, per quelli che lo contestano da cinque anni, per i giornalisti che hanno preso parte alla conferenza “cuore” stampa, per Nedved-Paratici che fanno finta di stare dall’altra parte del Presidente, del Presidente Agnelli stesso che dona la maglia celebrativa ad Allegri con una faccia da funerale sapendo però che lui stesso ha firmato il licenziamento. In una società normale un Presidente che non vuole cacciare un allenatore non lo caccia. Di sicuro c’è che hanno migliorato i modi, qualche critica con Buffon lo scorso anno c’è stata, stavolta è stato tutto organizzato alla perfezione, alla fine tutti felici aspettando il nome del nuovo allenatore che sarà chiamato soprattutto per cercare di portare a casa quella famigerata Champions tanta agognata.

 

GIUSEPPE CALVANO